Per questo numero il Caffè si sposta in Piemonte. Nella nostra piccola inchiesta sulla molteplice schiera umana e professionale a contatto del Covid-19, a Torino siamo andati per trovare – si fa per dire, naturalmente – una giovanissima anestesista montefanese: la simpatica e cordiale Federica Agliata. Per la sua specializzazione si è trasferita da diversi anni a Torino, in una delle regioni italiane maggiormente colpite dall’epidemia. Nel suo carattere, oltre alla dolcezza dei modi, coesiste una determinazione concreta, che non le fa mancare la cordialità dei modi. Questo le rende semplice anche compiti ardui come quello che sta vivendo professionalmente. Studentessa con ottimi profitti durante il percorso di studi, nella disciplina del Volley, praticato per anni, ha avuto modo verificare le sue doti per lavorare in equipe. Negli sport di squadra si riesce a dare il proprio apporto, se si hanno le capacità di relazionarsi. Federica scegliendo la specializzazione che sta conseguendo, ha sicuramente dato prova di determinazione ed idee chiare. I lettori si accorgeranno, leggendo la conversazione che segue, di una giovane anestesista che, del lavoro duro e carico della drammaticità vista attraverso i vari media, ne conserva l’emozione necessaria, senza farne una pratica quotidiana sopra le righe. Sembra che ci voglia dire: “Questa è la mia professione, non c’è nulla di straordinario, se non qualche peso nei riguardi della quotidianità, di cui posso farmene carico con consapevolezza”. Del resto, la vocazione medica non viene mai per caso, nel momento di scegliere la professione, dando un fine ai corsi di studi. 

Non c’è bisogno di aggiungere molto nella presentazione dell’intervista, perché Federica è stata brava e dalla conversazione ne esce una figura, seppur giovane, già matura ed in pieno possesso degli strumenti critici e proessioanali della difficile specializzazione medica scelta. 

Caffè: Federica, fai parte di quella schiera di medici anestesisti montefanesi, impegnati nella risposta sanitaria al Covid-19; operando però a Torino. Perché ti trovi nella città piemontese?

<<Dopo essermi laureata ad Ancona nel 2014 ed essermi abilitata alla professione pochi mesi dopo, ho vinto un posto nella Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione dell’Università degli Studi di Torino e sono qua dal 2015. Sto completando il percorso di specialità che dura 5 anni. Dovrei diplomarmi a novembre di quest’anno>>

Caffè: Puoi dirci in che tipo di struttura operi?

<<Questo tipo di specializzazione è caratterizzato da una grande varietà di ambiti in cui formarsi (basti pensare che in alcuni paesi la figura dell’anestesista è ben distinta da quella del rianimatore, ad esempio, e che ogni chirurgia è accompagnata da un tipo di anestesia peculiare per quella specifica disciplina); per cui in questi cinque anni ho frequentato diversi ospedali, diversi blocchi operatori e svariate rianimazioni.
Attualmente sono nel Centro Traumatologico Ortopedico che è l’ospedale di riferimento per Piemonte e Val d’Aosta per il politrauma e per i casi più complicati nell’ambito della Neurochirurgia e dell’Ortopedia>>

Caffè: Rispetto a due mesi fa, circa, come è cambiato il modo di specializzarsi nei reparti di rianimazione?

<<Ci siamo trovati, come tanti altri colleghi, in piena emergenza. Per quanto riguarda il Piemonte, siamo stati chiamati direttamente dall’Unità di Crisi per andare a dare una mano nei posti con più necessità. La maggior parte di noi è andata. Ci siamo trovati di fronte a pazienti molto particolari, spiazzanti, per certi versi.

Il lavoro è quello a cui eravamo più o meno abituati, ma è tutto più difficile, con dei ritmi serrati e con molta più fatica (anche solo per tutti i dispositivi di protezione necessari)>>

Caffè: Avevate mai simulato situazioni come quelle che vi siete trovati ad affrontare?

<<Non in questi termini, almeno non io. Alcuni miei colleghi hanno fatto corsi di formazione sulla cosiddetta “medicina delle catastrofi” (a me sarebbe toccato quest’anno), ma nessuno era mai stato preparato precedentemente ad una pandemia di questa portata.

<<Chiaramente, contestualmente al nostro impiego nelle cosiddette Rianimazioni CoVID, siamo stati addestrati alla vestizione e soprattutto alla svestizione (fase ancora più delicata), a come ridurre al minimo la contaminazione e le procedure più a rischio>>

Caffè: Ho idea, per molti di voi giovani medici, anche se non mi piace l’accostamento con uno scenario di guerra, che sia stato come per i “ragazzi del ‘99, quando furono chiamati al fronte appena diciottenni, ritenuti pronti a combattere nella Grande Guerra. Della vostra preparazione medica non ne dubito, ma sarebbe stato meglio avere tempo per prepararsi ad affrontare situazioni estreme come si dice avvengano nei ricoveri Covid-19?

<<Non sei il primo che ha fatto questo parallelo. Anche a me non piace molto l’accostamento con lo scenario di guerra, perché immagino ci sia un carico emotivo e di mancanza di sicurezza ancora diverso.

<<Per la mia esperienza, soprattutto all’inizio, l’incertezza ed i dubbi sono stati tanti: in fondo non ci sente mai pronti abbastanza. Poi entri in reparto, inizi il turno e si va avanti>>

Caffè: Ritieni ci siano differenze fra la realtà torinese e piemontese, che conosci bene, e quella marchigiana, almeno per quanto ne sai direttamente o indirettamente?

<<In verità per un po’ di tempo le Marche ed il Piemonte si sono contesi il quarto posto di regione con maggior contagi dopo Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Poi qua in Piemonte, per vari motivi, la situazione è esplosa e non è ancora del tutto rimessa, anche se le cose vanno sicuramente meglio.

<<Penso che a favore delle Marche ci sia il fatto che i centri abitati siano più piccoli e distanziati tra loro, per cui la comunicazione con le persone sia più capillare, così come le eventuali reti di sostegno e di controllo>>

Caffè: Avere un fratello medico, impegnato da tempo oramai in una specializzazione  diversa dal tua e non direttamente a contatto con il Corona Virus, come lo sei tu, ti aiuta ad affrontare le difficoltà?

<<Mio fratello Giacomo è radiologo e, come dici tu, non lavora in reparti strettamente CoVID, ma facendo spesso turni in Pronto Soccorso è stato coinvolto anche lui nell’emergenza, visto che, soprattutto all’inizio, la diagnosi era molto supportata della TC del torace.
<<Anche in questo frangente, come in tutti gli altri della mia carriera/vita, sia lui sia mia sorella (che non è medico, ma mi ha molto sostenuto in questo periodo) sono stati dei validi confronti, sia per capire come stessero andando le cose a casa, sia come aiuto psicologico>>

Caffè: Sentendo parlare molto di respiratori artificiali per la ventilazione meccanica dei pazienti in sedici di ossigenazione, della scarsità in dotazione ai vari ospedali e reparti di rianimazione, non ha impressione che si dica poco o nulla, del vostro apporto medico scientifico nell’approccio terapeutico ai malati?

<<Di sicuro la questione della carenza di strutture e di apparecchiature ha avuto, giustamente, molta risonanza. Puoi essere un medico molto competente, ma se non hai gli strumenti, hai le mani legate.

<<Ma porrei l’accento anche sulla carenza dei dispositivi di protezione che hanno dovuto fronteggiare in Pronto Soccorso, i Medici di Continuità Assistenziale (le cosiddette Guardie Mediche) ed i Medici di Famiglia. Ho carissimi amici che lavorano in questi ambiti che spesso si sono trovati in difficoltà. Non si dovrebbe scegliere tra rischiare o curare.

<<In merito alla nostra figura di rianimatori, in tanti non sapevano nemmeno bene di cosa si occupasse un anestesista, diciamo che adesso è un po’ più chiaro>>

Caffè: Siete un equipe giovane dove operi?

<<Siamo in tanti e di tutte le età sia tra i medici che tra gli infermieri. Di sicuro la componente giovane è ben rappresentata e poi ci sono gli anestesisti più esperti che sono anche dei punti di riferimento, in termini di esperienza, soprattutto>>

Caffè: Ora che la curva dei contagi è rallentata, come è cambiato il lavoro in ospedale? Si è tornati al regime ordinario?

<<Al momento, in teoria, stiamo ottenendo il massimo dei risultati derivati dal lockdown, ossia il fatto che i conagi stiano diminuendo di giorno in giorno. Grazie a questo, la pressione sul Sistema Sanitario si è ridotta, dopo due mesi e passa di inferno. I pazienti ricoverati continuano ad esserci, anche se in misura minore; parallelamente si sta verificando una lenta ripresa della chirurgia di elezione, associata a tutti quei pazienti che hanno bisogno di cure e non sono CoVID+. Personalmente, sono tornata ad una pseudonormalità, ma dico pseudo perché il livello di allerta è ancora molto alto, specie con la fase 2 in vista>>

Caffè: Rispetto ai primi mesi dopo la laurea in medicina, quando venivi in farmacia a rifornire la tua borsa medica per affrontare le guardie mediche notturne e festive, con la solerzia del tuo carattere e le giuste attenzioni di giovanissima medico, chiedendo “Ti serve la ricetta medica?”, mentre ti rispondevo: ” Non sei un medico tu, mi basta questo, per poterti servire il farmaco”, e tu sorridevi come fanno i giovani sinceri e volenterosi; ecco, scusa la digressione, ma che cosa è cambiato da allora, passati diversi, a che se pochi, anni da quei primi approcci all’arte medica?

<<Mi fa molto sorridere che tu rammenti questo episodio, visto che quel periodo io lo ricordo benissimo! Ovviamente è cambiato tantissimo in termini di esperienza, consapevolezza e di tipo di lavoro, soprattutto. D’altra parte, è cambiato molto poco, direi: la sensazione è che ci sia sempre e comunque ancora tanto da imparare>>.

L’intervista si chiude con un’espressione sorridente che si intuisce nonostante la conversazione telefonica. La stessa, mi viene in mente, che Federica possa avere in reparto e con i colleghi, quando la sua solarità mediterranea apporta valore al lavoro quotidiano che non dimentica l’emozione. PmS

federica agliata